Paolo Borsellino, ancora troppi misteri a vent’anni dalla strage di via D’Amelio


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Paolo Borsellino, vent’anni dalla strage di via D’Amelio
Cinquantasette giorni. Quelli che separano la strage di Capaci, dove perse la vita Giovanni Falcone, da quella di via D’Amelio, dove a morire sotto il tritolo della mafia fu Paolo Borsellino. Il 19 luglio 1992 il magistrato stava rientrando da Villagrazia di Carini, dove aveva pranzato con la famiglia. Si ferma però dalla madre, a Palermo, in via D’Amelio. La mafia è già all’opera: Biondino, mandato da Totò Riina a controllare la villa al mare, avvisa i killer sul posto. Una Fiat 126, parcheggiata nei pressi della casa materna, esplode al passaggio del giudice con i suoi agenti di scorta: cento chili di tritolo che uccidono Borsellino, Emanuela Loi, prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Unico sopravvissuto Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava una delle auto di scorta. A vent’anni dalla morte del magistrato la verità è ancora lontana e il nuovo processo, aperto dalla Procura di Caltanissetta, cerca le risposte per quello che rimane, ancora oggi, uno dei misteri italiani più fitti.
Chi era Paolo Borsellino
Uomo dello Stato, magistrato, amico e collega di Giovanni Falcone, Borsellino è uno dei tanti eroi che hanno combattuto la mafia. Nato a Palermo nel 1940, a soli 23 anni vince il concorso in magistratura e diventa il più giovane magistrato d’Italia.

Dopo i primi anni nel civile, passa al penale e nel 1980 collabora con Rocco Chinnici, procuratore capo di Palermo: si costituisce il pool antimafia per frenare l’avanzata dei criminali, i sanguinari, i Corleonesi di Riina, ma anche con lo scopo di combattere il malaffare con nuovi metodi, puntando agli interessi economici della mafia.

Sono gli anni del sangue, degli omicidi eccellenti, tra cui quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, quello del deputato del Pci Pio La Torre, e molti altri, fino all’uccisione del giudice Chinnici il 29 luglio 1983. Il lavoro del magistrato non può andare perso, ancor di più dopo il suo estremo sacrificio: a Palermo arriva Antonino Caponnetto e il pool continua a lavorare.

Il maxi processo passa dall’arresto di un uomo chiave, Tommaso Buscetta: da pentito cambia il volto del lavoro dei magistrati e fioccano gli arresti. La “cupola” di Cosa nostra viene messa in ginocchio con 475 imputati alla sbarra: il processo si conclude il 16 dicembre del 1987 in Corte di Assise con diciannove ergastoli a tutti i componenti della cupola e 2665 anni di carcere ad altri 339 imputati. Cinque anni dopo la sentenza viene confermata in Cassazione.

Il colpo inflitto alla mafia è tale che serve una vendetta in grande stile: Cosa nostra inizia ad agire mentre a Palermo qualcosa non va come dovrebbe. Caponnetto è costretto a lasciare per motivi di salute, tutti pensano che sia Falcone il suo erede naturale. Invece arriva Antonio Meli.

Borsellino non ci sta e rilascia interviste a quotidiani nazionali come l’Unità e la Repubblica dove nel 1988 chiede come sia possibile che Falcone non sia a capo del pool, visto che da lui sono passate tutte le carte del maxi processo. Si rischia di gettare al vento il lavoro di anni, anche perché lui sa cosa sta pensando la mafia: il pool deve morire e lo deve fare davanti a tutti.

Lo dice lui stesso nell’ultimo incontro pubblico alla biblioteca di Palermo, il 25 giugno 1992, lo rivela nella sua ultima intervista rilasciata a Lamberto Sposini dopo la morte di Falcone. “Siamo dei cadaveri che camminano“. Mai parole furono così tremendamente profetiche: Borsellino muore il 19 luglio 1992, dilaniato dalle bombe della mafia.

Via D’Amelio Strage di Stato

La famiglia del magistrato rifiutò i funerali di Stato, quello Stato che lo aveva lasciato solo, a morire sotto cento chili di tritolo. Con lui i suoi agenti della scorta, tra cui Emanuela Loi, prima donna della Polizia caduta in servizio. Emanuela aveva seguito le aspirazioni della sorella Claudia, entrando in polizia, ed era arrivata a Palermo nel 1991. Un onore per lei servire un uomo come Borsellino, che l’è costato la vita: pochi giorni dopo si sarebbe dovuta sposare.
A perdere la vita con lei, gli altri uomini della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, in quello che era un attentato che si poteva evitare.

Un’informativa dei Ros parla di un grande quantitativo tritolo giunto a Palermo, mentre gli abitanti di via D’Amelio chiedevano da tempo maggiori controlli: la via è una strada chiusa, dove è facile piazzare una bomba, cosa che gli stessi agenti della scorta hanno più volte fatto presente.

Il processo per la strage di via D’Amelio inizia tra depistaggi e informazioni che saltano: al termine di vari processi si arriva alla condanna in via definitiva di 47 persone, 25 delle quali all’ergastolo, tra cui Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Salvatore Biondino, Giuseppe Graviano, Carlo Greco e Salvatore Profeta, ma non bastano a chiarire chi ci fu veramente dietro alla morte del giudice.

La Procura di Caltanissetta sta continuando le indagini: Graviano fu il killer, quello che premette il pulsante su ordine del boss mafioso Riina, ma ci sono troppi punti oscuri che il nuovo processo sta portando alla luce.

La morte di Borsellino fu decisa in fretta da Cosa nostra e con la complicità delle istituzioni: le nuove dichiarazioni effettuate da vari testimoni nel processo in atto a Caltanissetta gettano qualche barlume di luce, troppo poco ancora su quello che il magistrato sapeva.

Sapeva del tritolo, sapeva di essere nel mirino e decise di sacrificarsi pur di non mettere in pericolo i suoi cari; sapeva delle trattative tra Stato e mafia, sapeva che qualcuno, un amico, lo aveva tradito. Il giorno prima di morire disse alla moglie che non sarebbe stata solo Cosa nostra a ucciderlo. A chi si riferiva?

Potremmo saperlo se mai si trovasse la sua agenda rossa, quella in cui segnava gli appunti, le rivelazioni e i passaggi delle indagini, quell’agenda che la famiglia lo vide riporre nella valigetta in pelle e che non venne ritrovata sul luogo della strage, salvo poi trovare una foto dove qualcuno la sta portando via da via D’Amelio.

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