Botta e risposta a mons. Negri

Risponde Gian Luca Carrega
Ve la ricordate quella battuta di un comico americano che girava qualche anno fa: “Meglio essere negri che gay, almeno non devi dirlo a tua madre”? Mi è tornata in mente stamattina leggendo l’intervista su La Stampa a monsignor Luigi Negri. A molti il nome non dirà nulla, è vescovo della diocesi di San Marino – Montefeltro (sai che roba…) e il suo nome comparve tra i possibili successori di Poletto a Torino prima della scelta di Nosiglia (Deo gratias!). Non avendo molto da fare nella sua microdiocesi, il nostro ha una spiccata tendenza ad intervenire sulle questioni politiche nazionali, attestandosi su posizioni spiccatamente filo-governative (strano, vero?). Come avrete notato, di questi tempi un buon numero di prelati sente il dovere di prendere le difese del Grande Inquisito, con un senso di giustizia che non si è mai visto in altri ambiti. I suoi sostenitori più avveduti confidano nello scorrere del tempo, che solitamente riesce a insabbiare le cose, e probabilmente avranno ragione anche in questo caso. I più malaccorti, invece, si arrampicano sugli specchi e da apprendisti azzeccagarbugli cercano di aggrapparsi disperatamente all’aspetto penale: nessun reato è stato ancora provato, quindi c’è la presunzione di innocenza. Viva Iddio, questo principio è valido persino nel nostro scassatissimo Paese. Ma il problema, Eccellenza, non è solo di natura giuridica. Lei dice: “Le incoerenze etiche di un governante non distruggono il benessere e la libertà di un popolo”. Ne è davvero così sicuro? Se un parrocchiano va a puttane e trova tra i clienti il suo parroco si sentirà la coscienza in pace e non avrà alcun motivo di andare a confessargli il suo peccato. A proposito, se qualche altro parrocchiano fosse scandalizzato dalla cosa e venisse a riferirle il fatto, lei classificherebbe la cosa come “chiacchiere sulla rilevanza pubblica di taluni comportamenti privati”? Perciò se un capo di Stato firma quelle leggi che le stanno così a cuore per la tutela della famiglia e poi dimostra, privatamente ma anche pubblicamente, di non avere nessuna considerazione dei valori che tengono insieme una famiglia (rispetto reciproco, fedeltà, ecc.), quella legge di fatto non vale più. Si ricorda quel Socrate che fu pronto a morire per non violare le leggi dello Stato? Ah, capisco, era omosessuale o, come si dice anche nei nostri ambienti, un ricchione. Forse riesce più facile ascoltare le parole dello scrittore R.W. Emerson: “Quello che sei urla così forte che non riesco a sentire quello che dici”. Io temo che lei abbia troppa fiducia nel potere delle leggi: in Italia ce ne sono di ottime, eppure il degrado morale raggiunge livelli inaccettabili per un paese civile. Anche a me sta a cuore la questione dell’aborto e su questo siamo perfettamente d’accordo nel sottolineare la gravità del fatto, ma non mi illudo che una legge da sola possa risolvere il problema. La piaga dell’aborto finirà quando la legge che lo consente non verrà più applicata e questo si può raggiungere solo con l’impegno di tante persone di buona volontà che si fanno carico di situazioni difficili.
Il fatto è che abbiamo idee completamente diverse sul ruolo del cristiano nel mondo. Da insegnante di Nuovo Testamento, io vedo la missione del credente come una presenza significativa (“sale della terra”; “pugno di lievito”), ma non impegnata nel creare strutture di potere o nell’occupare posti strategici come la sanità lombarda. Non ho mai sentito san Paolo parlare di “orientare cattolicamente la restante parte della legislatura”, nemmeno se i cristiani avessero avuto le forze per farlo. Il suo progetto, in verità, assomiglia molto alle dittature teocratiche di alcuni stati islamici. Ma la politica è solo un gioco di forza o lo sforzo di raggiungere un bene comune a partire dalla tutela dei più deboli? Lei condanna le “élites ideologiche e politiche che pretendono di dominare il Paese”, ma agisce con lo stesso principio ed è chiaro che chiunque potrebbe rinfacciarglielo. Con l’aggravante di essere stato consacrato vescovo di una diocesi e non guida di una lobby.
Ieri mentre mi preparavo il pranzo ascoltavo il comizio romano dell’onorevole Vendola. Molta retorica, molte questioni trattate in modo semplicistico, molti punti su cui non sono d’accordo. Eppure il tono usato non era aggressivo come quello di troppi uomini di chiesa, mi dava l’impressione che avremmo potuto discutere sui punti di divergenza senza reciproche scomuniche. È allora che ne ho avuto la conferma: meglio gay che Negri…

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