LA ‘NDRANGHETA IN REGIONE, MA ALLA LEGA NON BASTA ANCORA

Dimissioni pronte, ma Maroni accetta l’accordo con Formigoni
L’arresto dell’assessore regionale Domenico Zambetti svela uno scenario di estrema gravità. Dell’incapacità della Regione di affrontare la crisi abbiamo già detto innumerevoli volte, degli scandali nella sanità lombarda sono pieni i giornali e di Formigoni ormai si ride sentendo l’imitazione di Crozza, ma l’infiltrazione della ‘ndrangheta nella Giunta regionale è il fiume che fa tracimare il vaso. Nella Lombardia che non sarebbe infiltrata dalle organizzazioni mafiose, la ‘ndrangheta mette il cappello su di un assessore regionale, lo sostiene per l’elezione e poi lo tiene in scacco, minacciandolo di morte in caso non faccia quel che gli chiedono. L’arresto, con la diffusione delle motivazioni, è avvenuto mercoledì mattina. La reazione del Pd è stata immediata: commissioni disertate e dunque di fatto bloccate, il lancio di un presidio per la sera stessa, e soprattutto la raccolta delle dimissioni di massa, per spingere il centrodestra a un sussulto di dignità. Nel frattempo si è organizzata una diretta web per spiegare le iniziative agli interessati e una conferenza stampa per darne conto ai giornalisti. Le dimissioni sul tavolo (solo 27, quelle di questi tre partiti, di fronte alle 41 necessarie per far cadere la giunta) hanno tolto alla Lega, quella 2.0, delle scope e di Maroni ministro ex dell’interno, ogni alibi per l’ennesimo giochetto. Ma il Carroccio ha fatto l’inenarrabile: mercoledì sera, sotto al Pirellone, il segretario regionale Matteo Salvini annunciava la crisi, le dimissioni sul tavolo, il voto anticipato per il 2013 e anche prima se non ci fosse stato l’immediato azzeramento della giunta. E con Salvini ci mettono la faccia i consiglieri leghisti. Un giorno dopo va in scena tutto un altro film. Da via dell’Umiltà, sede romana del PDL, davanti a un fondale azzurro berlusconiano, gli occhiali rossi di Maroni nascondono uno sguardo dimesso. Formigoni fa il mattatore e annuncia che il patto politico è rinnovato, che azzererà e ricomporrà la giunta, che inviterà nuovamente il Consiglio ad approvare entro dicembre la riforma della legge elettorale (è un caso?), quando era stata proprio la maggioranza a bloccare il gruppo di lavoro. E Maroni, spento, si dice soddisfatto. Maurizio Martina attacca immediatamente: “Le parole di Maroni impressionano per subalternità a Formigoni – dice – e sono cosa ben diversa dalle prese di posizione di queste ore di tanti esponenti leghisti del territorio. Tirare a campare in questo modo rimanendo attaccati alle poltrone è dannoso per la Lombardia ed è una clamorosa presa in giro”. “Se fossi nei panni di Salvini mi dimetterei”, rincara Franco Mirabelli. Perché la Lega dei “barlafus” – l’espressione è di Luca Gaffuri – come dice il vicesegretario Alessandro Alfieri “minaccia sfracelli in Lombardia e poi cala le braghe a Roma.”
Il PD, con tutto il centrosinistra, non demorde: lunedì sera scenderà di nuovo in piazza, e martedì sarà in Consiglio a dire che così non si può proprio continuare.

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