Pensioni: correggere le gravi criticità della riforma

Futuro a rischio per 350 mila lavoratori. La questione non è chiusa

Secondo le stime più attendibili, di 350 mila lavoratori che si trovano a dover affrontare un
futuro, anche di diversi anni, senza lavoro, senza pensione e senza forme di sostegno del reddito. Si tratta di una situazione inaccettabile che intendiamo denunciare e sulla quale ci impegniamo a continuare il nostro lavoro per l’individuazione delle opportune soluzioni legislative. Buona parte degli effetti positivi sull’andamento dei conti pubblici che hanno fatto recuperare credibilità finanziaria al nostro Paese poggiano sulle spalle dei lavoratori e delle loro organizzazioni che, con estremo senso di responsabilità nazionale, si sono fatti carico di una riforma del sistema pensionistico che non ha eguali nel panorama continentale. Del decreto “salva Italia” la riforma previdenziale di cui all’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, rappresenta la principale voce nel quadro delle misure finalizzate al riequilibrio dei saldi di finanza pubblica e al raggiungimento dell’obiettivo dell’anticipazione del pareggio di bilancio al 2013, con effetti che vanno a sommarsi a quelli già conseguiti con i precedenti interventi, dal 2004 al 2011, stimati nell’ordine di circa 1,4 punti di Pil all’anno. La riforma previdenziale proposta dal Governo presentava, nella sua originaria formulazione, significative criticità parzialmente corrette nel corso dell’esame parlamentare, tra queste: la sostenibilità sociale ed economica delle penalizzazioni per le pensioni di anzianità; l’eliminazione del sistema delle quote; i differenti regimi della normativa pensionistica tra settore pubblico e settore privato, nonché tra diversi comparti, come, ad esempio, quello della scuola; la condizione di talune categorie di lavori come gli usuranti. Il nostro costante, puntuale e circostanziato impegno ci ha consentito di migliorarne l’impianto complessivo, correggendone parzialmente errori, sviste e vere e proprie iniquità, con un lavoro che si è protratto anche in occasione del successivo decreto legge sulle semplificazioni e che ci porta ancora a segnalare problemi e illogicità del quadro normativo che si è andato definendo, soprattutto in considerazione dei precedenti interventi varati dal Governo Berlusconi. Consapevoli dell’esigenza di tenere aperta la riflessione e la verifica sugli effetti che si stanno determinando sulla condizione materiale di centinaia di migliaia di lavoratori, nonché sollecitati da continue segnalazioni di cittadini, associazioni e imprese che denunciano situazioni che, in taluni casi, rischiano di divenire kafkiane, abbiamo deciso di avviare, attraverso un pacchetto di interrogazioni, un lavoro di segnalazione, sollecitazione e richiesta di chiarimenti al Governo relativamente a una pluralità di casi che a tuttora risultano senza una risposta giuridica plausibile ed equa.
I principali problemi che si trovano a dover affrontare i lavoratori in questione, ripetiamo si
tratta del numero tutt’altro che trascurabile di circa 350 mila lavoratori discendono principalmente dagli effetti, che in alcuni casi si sovrappongono, delle misure che nel tempo hanno reso oneroso il ricongiungimento dei contributi versati nei diversi enti o fondi previdenziali e le misure contenute nel decreto “salva Italia” d’innalzamento dei requisiti anagrafici e la corrispondente eliminazione delle quote. Qui di seguito riportiamo gli elementi essenziali di alcuni casi sui quali abbiamo predisposto il pacchetto di interrogazioni oggetto della nostra iniziativa in questa fase del confronto parlamentare:2
  Lavoratrice dipendente part-time, nata il 18 aprile 1947: 27 anni di contributi all’Inps
come dipendente di ditte private, dal gennaio 2002 è dipendente part-time di una amministrazione provinciale con iscrizione all’Inpdap.
All’inizio del 2010, ormai sessantatreenne, decide di andare in pensione ed il 20 luglio presenta domanda di ricongiunzione dei contributi dall’Inpdap all’Inps.
L’Inps in accoglimento della ricongiunzione comunicava che l’onere per trasferire la contribuzione accreditata presso l’Inpdap dal 27 dicembre 2001 al 31 luglio 2010 ammonta
ad euro 29.067, se pagati in unica soluzione, oppure con pagamento in 40 rate mensili di
782,75 euro, a 31.309 euro. Con il pagamento di detto onere avrebbe avuto diritto ad una
pensione di 838 euro mensili lordi. Impossibilitata a pagare tale cifra decide di continuare
l’attività lavorativa e dovrà rimanere in servizio fino ad almeno 66 anni e 6 mesi di età per
poi chiedere la pensione in totalizzazione. La lavoratrice poteva già andare in pensione
dal 1o maggio 2007, e fino al giugno 2010 poteva ricongiungere o trasferire gratuitamente
i contributi dall’Inpdap all’Inps (è rimasta in servizio perché era certa di maturare una pensione maggiore con il versamento di ulteriore contribuzione; il risultato è quello che avrà una pensione notevolmente inferiore). (5-06386)
  Lavoratrice di 60 anni, compiuti il 17 gennaio 2012, 23 anni di contribuzione, disoccupata da 4 anni. Con la vecchia normativa avrebbe maturato il diritto alla pensione di
vecchiaia a gennaio 2012, con decorrenza della pensione febbraio 2013. Con la nuova
normativa potrà andare in pensione a 63 anni e 9 mesi con decorrenza novembre 2016.
(5-06387)
  Lavoratore che ha sottoscritto un accordo individuale di esodo in data 11 novembre
2011, ma la cui risoluzione del rapporto di lavoro avverrà con decorrenza 30 marzo 2012.
Non rientra nelle deroghe previste dalla legge n. 214 del 2011 e neanche in quelle previste
per gli esodati dal decreto «mille proroghe», perché rientrano nelle esenzioni soltanto i
lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011. (5-06389)
  Cassaintegrato Alitalia che ad ottobre 2012 andrà in mobilità. L’accordo sottoscritto
da Alitalia con le organizzazioni sindacali è precedente al 4 dicembre 2012 (l’accordo risale al 2008) e prevedeva l’accompagnamento dei lavoratori alla pensione con 4 anni di cassa integrazione e 3 anni di mobilità. L’Inps ha effettuato il monitoraggio chiesto dal
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, considerando i lavoratori già collocati in mobilità alla data del 4 dicembre e già a questa data i lavoratori sarebbero più di 65.000. In base alle risorse stanziate, quindi, tutti gli altri andati in mobilità dopo il 4 dicembre 2011 sarebbero fuori, anche se gli accordi sono stati sottoscritti prima di tale data. (5-06399)
  Lavoratrice che ha compiuto 58 anni di età a novembre del 2011. Ha 32 anni di contribuzione, è disoccupata da due anni e mezzo e nonostante la ricerca di un nuovo posto
è riuscita a trovare solo lavoretti «in nero».Con la vecchia normativa avrebbe maturato il
diritto a pensione nell’aprile 2014, con decorrenza maggio 2015. Con la nuova normativa
la decorrenza della sua pensione comincerà nel novembre 2020. (5-06391)
  Lavoratore che compie 60 anni nel maggio 2012 con 37 anni di contribuzione versata in passato, disoccupato da qualche tempo a causa di licenziamento individuale senza
accordi. Con la vecchia normativa avrebbe maturato il diritto a pensione, con le quote, nel 2012, con decorrenza della pensione a giugno 2013. In base alla nuova normativa il lavoratore in questione potrà andare in pensione solo nel 2016 con 64 anni di età, con 3
decorrenza giugno 2016.   Il lavoratore è disoccupato, non può fare i versamenti volontari
per mancanza di reddito, ha finito il periodo di percezione dell’indennità di disoccupazione, ha provato a cercare lavoro senza alcun risultato. (5-06392)
  La possibilità di vedersi riconosciuto il vecchio regime pensionistico per quei lavoratori
che sono stati posti in mobilità, in ragione degli accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011, e che entro tale periodo maturavano i previgenti requisiti anagrafici,
rischia di esser  compromessa dall’applicazione delle disposizioni di cui al comma 15 dell’articolo 24, del decreto-legge n. 201 del 2011, in base al quale  ai suddetti soggetti
vengono comunque aggiunti tre mesi per l’aspettativa di vita a partire dal 2013 per la maturazione del requisito per la pensione. (5-06395)
  L’accelerazione sui requisiti di età per l’accesso alla pensione di vecchiaia delle donne nel settore privato, penalizza ulteriormente la condizione di queste lavoratrici, già soggette a retribuzioni più basse e a forzate interruzioni dell’attività lavorativa per dedicarsi a lavori di cura e che arriveranno a fruire di un assegno pensionistico di vecchiaia, di poco superiore ai 600 euro lorde mensili in media (fonte banca dati dell’INPS: pensioni vecchiaia donne – 643 euro mensili lordi – anno di liquidazione 2010). (5-06400)
  Una insegnante nata il 9 dicembre 1940, che ha lavorato presso lo stesso istituto scolastico per oltre 37 anni fino al 31 agosto 2010. Dal 1° settembre 2001, l’istituto scolastico da privato diventa istituto «parificato» e ciò determina, a decorrere dalla stessa
data, il passaggio dell’obbligo assicurativo di tutti i dipendenti dall’Inps all’Inpdap; L’insegnante viene collocata a riposo per raggiunti limiti di età a decorrere dal settembre 2010.   Nei primi giorni di settembre 2010 riceve il provvedimento di liquidazione della pensione di vecchiaia Inps in modalità provvisoria in attesa del trasferimento della contribuzione versata presso l’Inpdap. Pensione liquidata sulla base della sola contribuzione accreditata presso l’Inps (28 anni e 5 mesi); i 9 anni di contributi versati all’Inpdap presso la cassa pensione insegnanti dal 1° settembre 2001 fino al 31 agosto 2010, non possono essere utilizzati in alcun modo. La lavoratrice: non può attivare la ricongiunzione onerosa al sensi dell’articolo 1 della legge n. 29 del 1979 perché titolare di pensione diretta Inps; non può chiedere la costituzione della posizione assicurativa all’Inps ai sensi della legge n. 322 del 1958 perché è stata abrogata dal 31 luglio 2010; non può chiedere la totalizzazione perché titolare di pensione diretta; non può chiedere la pensione supplementare all’Inpdap perché tale prestazione non è prevista nei fondi esclusivi. (5-06401)
  Una lavoratrice nata il 30 marzo 1952: ha versato 27 anni di contributi lavorando
come dipendente di un’amministrazione comunale con iscrizione INPDAP. Nel 2003 è
diventata dipendente di un’azienda privata e ha continuato a versare fino ad oggi con
iscrizione INPS. Quando, ormai prossima alla pensione ha ritenuto giunto il momento per
il trasferimento, la ricongiunzione era diventata onerosa e le è stato chiesto di ripagare
per trasferire 27 anni di contributi un onere di euro 265.673, in 163  rate mensili di euro
2.169,90 cadauna. Intanto per effetto della cosiddetta legge Monti si è allontanato il momento per il perfezionamento del diritto a pensione. (5-06402)
  Una lavoratrice postale nata il 21 gennaio 1954: ha svolto sempre lavoro dipendente
con la stessa qualifica e mansione, dapprima presso ditte private poi con società collegate a Poste Italiane con iscrizione INPS per oltre 33 anni, infine con Postel, con iscrizione
IPOST, per oltre 7 anni. Il 21 luglio 2010 presenta la domanda di ricongiunzione verso
INPS e il 31 dicembre 2010 cessa l’attività lavorativa. Tra Inps e ex Ipost ha complessiva 4 mente oltre 40 anni di contributi e riteneva che la ricongiunzione all’Inps della contribuzione Ipost fosse gratuita, visto che la pubblicazione della nuova legge 122/2010 che l’ha resa onerosa è avvenuta solo il 30 luglio 2010. L’Inps comunica che il ricongiungimento ha un costo di 36.857,87 euro. La signora non è in condizione di pagare, non lavora più e non è pensionata, nessuno è disposto a concederle prestiti: per avere la pensione di anzianità Inps calcolata con il sistema retributivo deve pagare la ricongiunzione o  deve chiedere la pensione in regime di totalizzazione con calcolo interamente contributivo, ottenendo un trattamento notevolmente inferiore e la perdita di oltre un anno di pensione. (5-06403)
  Una dipendente statale nata il 1° gennaio 1953: ha cessato l’attività lavorativa per
dimissioni volontarie il 30 settembre 2010, con l’intenzione di andare in pensione dal
1° ottobre 2010. La lavoratrice ha svolto attività lavorativa dipendente presso ditte private dal luglio 1968 al gennaio del 2000, con iscrizione Inps dove vanta circa 29 anni e 8
mesi di contribuzione utile ai fini del diritto. Dal gennaio del 2000 è stata assunta presso
la pubblica amministrazione con contratti a tempo determinato prorogati annualmente
fino al 2007. Dal 2007, è stata assunta a tempo indeterminato con iscrizione Inpdap.
Complessivamente ha maturato 40 anni di contribuzione ad aprile del 2010 (10 anni e 4
mesi presso l’Inpdap e 29 anni e 8 mesi all’Inps). Il 6 luglio 2010 decide di presentare la
domanda per ricongiungere la contribuzione versata presso l’Inpdap all’Inps, operazione
a quel tempo ancora gratuita, e dà le dimissioni, nel rispetto dei termini di preavviso, a
far data dal 30 settembre 2010. Ma dal 31 luglio, con l’entra in vigore la legge n. 122 del
2012, la ricongiunzione diviene onerosa. Solo a luglio 2011, a distanzadi 1 anno, l’Inps
comunica che l’onere di ricongiunzione per trasferire la contribuzione dall’Inpdap all’Inps
ammonta a 53.607 euro, se pagati in unica soluzione, onere che sale a 60.256 euro se
pagata ratealmente in 64 mensilità. (5-06404)
  Una lavoratrice, nata il 31 agosto 1949, che ha lavorato dal 1964 al 2000 con ditte
private con contribuzione Inps per quasi 20 anni, poi dal 2000 come dipendente di un
ente locale (Comune) con iscrizione all’Inpdap. Per avere una sola pensione fa domanda
di ricongiunzione all’Inpdap. Nel 2009 riceve il provvedimento di ricongiunzione: il costo
per ricongiungere i 19 anni e 10 mesi di contributi dall’Inps all’Inpdap è di 42.788,69 euro.
La pensione Inpdap è più elevata, ma la sua retribuzione è di circa 20.000 euro annui lordi, poco meno di 1.200 euro al mese netti; non può far altro che rinunciare alla ricongiunzione. Decide per la soluzione inversa a quel tempo praticabile: trasferire gratuitamente i
contributi dall’Inpdap all’Inps e andare in pensione con l’Inps; l’importo della pensione è
più basso ma non deve pagare nulla. All’inizio del 2010 rassegna le dimissioni, cessa dal
servizio il 30 luglio 2010 ed il giorno successivo, il 31 luglio 2010, inoltra con raccomandata A-R la domanda di costituzione della posizione assicurativa all’Inps gratuitamente.
A seguito dell’entrata in vigore della legge 122 del 2010 la domanda di trasferimento gratuito dei contributi dall’Inpdap all’Inps viene respinta. Allora, presenta all’Inps domanda di
ricongiunzione ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 29 del 1979 per trasferire i contributi
dall’Inpdap all’Inps onerosamente (il costo dovrebbe essere inferiore ai quasi 43.000 euro
richiesti per trasferire i contributi dall’Inps all’Inpdap). L’Inps respinge la domanda perché
non sono trascorsi 10 anni dalla precedente domanda di ricongiunzione. La signora dal
31 luglio 2010 è senza alcun reddito. (5-06405)
  Un lavoratore di 57 anni nel 2011, collocato in mobilità collettiva per crisi aziendale
dal 1° novembre 2010, a seguito di un accordo tra azienda e sindacato, stipulato antecedentemente al 30 aprile 2010. Esauriti i 3 anni di mobilità, il lavoratore avrebbe dovuto
sostenere 3 mesi di contribuzione volontaria per raggiungere i 40 anni di contribuzione,
maturando così il diritto alla pensione di anzianità nel gennaio 2014, con decorrenza 5
dall’agosto 2015. Le nuove disposizioni introdotte dall’articolo 24 del decreto-legge 201
del 2011 non consentono al lavoratore, di accedere ai requisiti necessari per il diritto al
trattamento pensionistico, poiché questi non rientra in nessuna delle deroghe previste
dalla nuova disciplina. Il lavoratore dovrebbe ricorrere alla contribuzione volontaria fino
al raggiungimento dei 42 anni di versamenti contributivi, per poter poi accedere al pensionamento anticipato nel dicembre 2017. Non avendo, però, la possibilità di sostenere
l’onere di 2 anni aggiuntivi di contributi volontari, il lavoratore sarà costretto ad attendere
il raggiungimento dell’età necessaria per l’accesso alla pensione di vecchiaia, nel settembre 2021, nel frattempo egli rimarrà senza lavoro, senza ammortizzatori sociali e senza
pensione. (5-06406)
  Il pensionamento di un lavoratore nato nel 1952, ed entrato nel mondo del lavoro nel giugno del 1973, doveva avvenire inizialmente nel luglio 2008. Le riforme “Dini”,
“Maroni” e “Fornero” hanno spostato continuamente la data, che ora è fissata al maggio
2016. Colleghi nati nel 1950 hanno potuto accedere alla pensione nel 2007 (precedendo
Maroni), a parità di età 7 anni prima del caso riportato; i nati nel 1951 accederanno nel
2012, quindi 4 anni prima. (5-06409)
  Un lavoratore di Cagliari, 64 anni di età, che al 31 dicembre 2011 ha perfezionato
i 40 anni di contribuzione, di cui 32 all’INPS e 8 all’INPDAP; se avesse lavorato mantenendo per tutto il periodo di attività l’iscrizione previdenziale o all’Inps o all’Inpdap
maturerebbe un trattamento pensionistico, calcolato con il metodo retributivo, di 1.008
euro mensili. Ora, per poter andare in pensione con i requisiti antecedenti la manovra
«Monti» del dicembre 2011, deve pagare la ricongiunzione, con un onere di 18.542,68
euro. In alternativa potrebbe ricorrere alla totalizzazione gratuita dei contributi, ma ciò gli
comporterebbe un trattamento pensionistico di 446 euro mensili, inferiore al trattamento
minimo o, infine, potrebbe optare per il sistema contributivo, ma anche in questo caso,
maturerebbe un trattamento pensionistico inferiore al trattamento minimo. (5- 06374)
  Nella individuazione delle categorie dei soggetti, che possono fruire della possibilità di
andare in pensione con il vecchio regime, non si è tenuto conto dei lavoratori e delle
lavoratrici autonome, che hanno cessato l’attività per la crisi economica di questi
ultimi anni e che attendevano, stante la normativa vigente in quella fase, di poter accedere al trattamento pensionistico. Con le nuove decorrenze, si è creata una platea di lavoratori e lavoratrici autonome, cessati dall’attività, di difficile ricollocazione lavorativa, senza
alcuna forma di ammortizzatore sociale e che si ritrovano nella disperata condizione per
diversi anni, di assenza di reddito da lavoro e da pensione. (5 – 0 6311)
  Il caso degli esodi individuali del gruppo IBM, concordati a partire dal mese di aprile
2011, i cui verbali di conciliazione prevedono un periodo di aspettativa non retribuita a
partire dalla sottoscrizione dell’accordo, con la cessazione effettiva del rapporto di lavoro nel mese dell’anno 2012 in cui il singolo dipendente avrebbe maturato i requisiti di
accesso alla pensione, secondo le regole allora vigenti. Questi lavoratori, pagando una
quota annuale, usufruiscono della cassa di assistenza dipendenti del gruppo IBM, che
dà diritto al rimborso parziale delle spese mediche e il cui regolamento prevede che detti
dipendenti possono continuare ad usufruire della stessa, anche in qualità di pensionati, a
condizione che non vi sia soluzione di continuità tra attività lavorativa e maturazione del
requisito pensionistico. Un tecnicismo finalizzato al mantenimento del diritto ad usufruire
della cassa di assistenza-CADGI. Le parti contraenti non potevano prevedere che proprio
quella clausola avrebbe comportato l’esclusione dal diritto alla deroga rispetto al nuovo
regime pensionistico.  (5- 06317)

Lascia un commento