Berlusconi, passo indietro ma “condizionato”

Io sono pronto a farmi da parte, ma non posso perdere la faccia rinnegando quanto fatto per fronteggiare la crisi attraverso gli impegni presi con l’Europa, avrebbe detto ai suoi il premier restando convinto che l’unica alternativa al suo governo sia il voto anticipato.
Niente esecutivi tecnici o di altro tipo (con Gianni Letta, Angelino Alfano o Mario Monti), né larghe intese. Il presidente del Consiglio, raccontano, era consapevole di non avere oggi numeri certi in Aula alla Camera (si puntava a quota 312), ma non si aspettava tanti ‘traditori’, come ha definito le ‘defezioni’ di suoi deputati su un biglietto scovato dai fotografi.
Da qui l’offerta di un “ultimo patto” a Umberto Bossi, quello di bissare lo schema del 14 dicembre: chiedere in Parlamento la fiducia sul programma di misure anticrisi contenute nella lettera consegnata alla Ue.
Se poi alla Camera il voto dovesse certificare la caduta dell’esecutivo, avrebbe spiegato Berlusconi ai suoi, allora bisognerà ridare la parola ai cittadini, perché i due rami del Parlamento avrebbero due maggioranze diverse.

Berlusconi, riferiscono fonti del Pdl, avrebbe fatto questa offerta al Senatur durante il vertice di oggi a palazzo Chigi. Una mossa, spiegano, dettata dalla preoccupazione della tenuta del Carroccio, visto che il Senatur oggi ha chiesto al Cavaliere di fare un passo “di lato”, aprendo quindi la strada a un esecutivo Alfano.
L’annuncio delle dimissioni una volta approvata la legge di stabilità con le misure richieste dall’Europa era l’unica strada praticabile rimasta al premier disarcionato. La contabilità dei ‘traditori’, in questa situazione, ha ben poco senso: chiedere al Parlamento di certificare con un voto di fiducia i confini della coalizione sarebbe suonato solo come un estremo e vano tentativo di compattare Pdl e la Lega.

Ciò non toglie che il ‘modello Zapatero’, vale a dire l’ annuncio di dimissioni per tornare alle urne, resti la prima opzione dell’ex maggioranza. Come si è ragionato nei vertici ristretti che hanno contraddistinto le ultime quarantotto ore, sull’ipotesi di un nuovo esecutivo di larghe intese il Pdl potrebbe dividersi: un buon numero di parlamentari potrebbe andare ad aggiungersi agli ‘scontenti’ che si sono astenuti sul Rendiconto dello Stato e costruire insieme all’Udc il nucleo di una nuova Dc o quantomeno di un movimento moderato di stampo cattolico.
Di questo rischio sarebbe convinto in particolare Umberto Bossi, combattuto tra la fedeltà al Cavaliere e la necessità di tutelare la compattezza del Carroccio. La disarticolazione del Pdl per mano degli ex dc significherebbe il tramonto del bipolarismo e un ritorno stabile della Lega all’opposizione: ipotesi che le consentirebbe, sì, di ricostruirsi una sorta di verginità politica ma le sottrarrebbe di mano il federalismo e forse buona parte del potere locale di cui oggi gode.

E’ per questo motivo che il Senatur ha lanciato l’idea di Alfano premier alla guida di un governo destinato a portare il Paese alle elezioni in primavera, magari in ticket con Roberto Maroni: un male minore, il tentativo di difendere una trincea che sta smottando, sebbene il capo della Lega sia consapevole che il tramonto del Cavaliere porterà con sé anche quello della vecchia classe politica dei sessantenni e dei settantenni, tra i quali ci sono lui stesso e i leader del Pd e del Terzo polo.
Se dunque il centrodestra vuole bloccare la strada alla formazione di un nuovo governo deve bloccare il disegno del Terzo polo di dare vita a una nuova grande forza moderata che svuoti il partito berlusconiano e superi l’attuale bipolarismo.

In questo quadro non hanno torto i centristi quando avvertono che spetterà al capo dello Stato la gestione di una fase che si preannuncia delicatissima. l’Italia, commissariata, è costretta a muoversi in una ‘gabbia’ di impegni dettati dall’Europa: per farlo senza sorprese avrebbe bisogno di un governo di unità nazionale che assicuri la condivisione di tutti sulle misure imposte dalla crisi. Sempre che si dia per scontato (cosa che non dovrebbe affatto essere, se solo fossimo un paese normale) che per raggiungere l’agognata stabilità di bilancio siano queste le misure giuste e non ce ne siano, al contrario, altre in grado di redistribuire il peso dei conti su tutti gli italiani e non solo e sempre su una sola parte di essi.

I contenuti del maxiemendamento, ancora per oggi, sono un oggetto misterioso. Bisognerà attendere che questo venga presentato in commissione per saperne di più. Per ora, dunque, si sa solo che l’Italia entra in una nuova fase di fibrillazione politica, nel bel mezzo della tempesta economica. L’interrogativo è se e per quanto il paese potrà permetterselo. La Spagna ha deciso per le elezioni molti mesi fa, da noi il ritorno al voto è sempre accompagnato dalla semiparalisi dell’attività di governo.

Il via libera definitivo della Camera in seconda lettura è atteso per fine novembre, al massimo i primi di dicembre, a meno che non si decidano di applicare delle procedure parlamentari straordinarie che, al momento, vengono escluse dal relatore di maggioranza al Senato Massimo Garavaglia (Lega).
Secondo l’attuale tabella di marcia, il sì del Senato al provvedimento, che conterrà le misure anti-crisi concordate con la Ue (il pacchetto di proposte è atteso per domani in commissione Bilancio di palazzo Madama), è previsto entro venerdì della prossima settimana (l’approdo in Aula martedì 15). Dopo il testo passerà all’esame di Montecitorio che dovrebbe licenziarlo entro fine mese senza modifiche.

Le opposizioni, dopo l’incontro tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Silvio Berlusconi, puntano a evitare che si perda tempo.
Nel fronte delle minoranze, la notizia del passo indietro di Berlusconi viene accolta con prudenza. “E’ chiaro- spiega un dirigente democratico alla Camera- che Berlusconi cercherà di tirarla per le lunghe, con la speranza, in questo modo di tagliare i ponti ad un governo di transizione. Oppure di precostituire le condizioni per un reincarico a suo vantaggio. Noi lo incalzeremo, perché si passi subito dagli annunci alle vie di fatto con il via libera al ddl stabilità, che sarà a totale carico della maggioranza”.
Sulla stessa linea è l’Udc. “Non possiamo permetterci una lunga ed estenuante campagna elettorale. La legge di stabilità può essere approvata rapidamente”, dice Casini.
Qui sorge però il problema più grande: buona parte del Pd fatica a digerire la maggior parte delle misure dettate dalla Ue e Antonio Di Pietro le avversa esplicitamente come “macelleria sociale”. L’Idv è per le elezioni anticipate e non lo nasconde. Come non nasconde le preoccupazioni per l’epilogo annunciato da Berlusconi, dopo il colloquio con Napolitano: l’ex pm ricorda che “Berlusconi diede già l’annuncio un anno fa, a novembre, quando si doveva andare al voto ma, con la scusa della legge finanziaria, ottenne oltre un mese di tempo, che utilizzò per mettere in atto l’ormai famoso ‘mercato delle vacche’ in Parlamento, al fine di avere la maggioranza. Oggi, con l’annuncio delle dimissioni, ma senza darle, prende un altro mese di tempo per tentare di comprare qualche personaggio in cerca d’autore, provando così a recuperare quella maggioranza che, anche oggi, ha dimostrato di non avere”.

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