La Primavera arriva al Nord

 

Fassino sindaco di Torino al primo turno. Merola vince a Bologna. Stupefacente Milano. “Noi vinciamo e loro perdono, il vento del nord è cambiato”, ha detto Bersani. Il centrodestra è sconvolto da un voto che va oltre ogni aspettativa e a questo punto la partita è portare a casa una vittoria al ballottaggio a Milano, risultato che potrebbe davvero aprire la crisi di governo. Il resto è rimandato a dopo

Piero Fassino è l’unico candidato Pd che, nelle quattro città-chiave, vince al primo turno, confermando che Torino è un feudo del centrosinistra.
Dopo 15 anni il centrosinistra torna al ballottaggio a Milano e ora spera, al secondo turno, di espugnare la tana del lupo. “La sfida del premier si è rivelata un boomerang, il vento del nord ha spirato con il polo Pdl-Lega”, esulta il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, dopo essersi congratulato al telefono con Giuliano Pisapia, il candidato di Sel ora diventato il simbolo della riscossa di tutto il centrosinistra e con Piero Fassino. Un risultato, quello milanese, che mette in ombra la debacle a Napoli, dove Mario Morcone è stato superato da Luigi De Magistris.

Su Milano il premier Silvio Berlusconi aveva lanciato il referendum sul governo e oggi Bersani si gode il successo: “Vinciamo noi e perdono loro, la sfida lanciata dal premier si è rivelata un boomerang”, è la soddisfazione del leader Pd che ora non esclude una crisi di governo e invita con una provocazione la Lega a riflettere se ha ancora senso appoggiare il Cavaliere.
“Vinciamo noi e loro perdono” è un messaggio che, almeno per ora, taglia le gambe a qualunque altra possibile considerazione. Lo dimostra quello che ha detto Paolo Gentiloni, uno dei leader della minoranza di Movimento democratico: “C’è un terremoto nel centrodestra, il resto lo valuteremo dopo i ballottaggi”.
Il “resto”, come lo definisce Gentiloni, sarebbe il risultato del Pd come partito (che peraltro a Milano sembra ottimo, testa a testa con il Pdl come prima forza in città); la performance dei candidati democratici; il numero di città riconquistate; la strategia delle alleanze alla luce del risultato del terzo polo, tutt’altro che entusiasmante; l’exploit dei candidati di Sel, non solo Pisapia ma anche Zedda a Cagliari.

Tutte questioni sulle quali la minoranza è pronta a dare battaglia, ma che dovranno essere valutate alla luce dei risultati definitivi e che comunque passano in secondo piano nel giorno del crollo di Berlusconi nella sua città. E infatti anche Giuseppe Fioroni, altro dirigente spesso assai scontento della linea del partito, per ora si limita a dire che “se si vince a Milano è una cosa enorme”, e solo “en passant” fa notare che però “la sinistra radicale cresce”. E Veltroni si è limitato a dire che il risultato di Milano è una “inequivocabile sconfitta per Berlusconi” e apre spazi all’iniziativa del Pd. E ora, ha aggiunto, bisogna mettere lo stesso impegno per vincere i ballottaggi.
Bersani, del resto, ha sottolineato qual è la posta in gioco a questo punto: “Se dopo i ballottaggi avviene un rafforzamento di questo dato, la crisi – che esiste già – sicuramente si acuisce e può arrivare anche a un punto di rottura”. E l’invito alla “riflessione” lanciato provocatoriamente alla Lega conferma le intenzioni del segretario: puntare al bersaglio grosso, Berlusconi.

Sul resto, Bersani non ha voluto perdere tempo: la tanto criticata “santa alleanza” non verrà rinnegata. Ma, più che alle ricadute nazionali, oggi è per il Pd il tempo di credere che a Milano si può vincere.
Un traguardo che spiega l’appello di Bersani al Terzo Polo e ai grillini, che nel capoluogo lombardo come a Bologna hanno avuto un exploit. “Non si può restare nell’infanzia, se si diventa un soggetto politico bisogna decidere”, è l’appello (ma chissà se verrà raccolto) al Movimento a Cinque Stelle. E che spiega il perché il segretario democratico si rivolga anche al voto di moderati e delusi del centrodestra attaccando il Cavaliere come “l’unico estremista” e sperando che si rafforzi il segnale di inversione di tendenza.Uno schema che trova d’accordo anche il leader Idv Antonio Di Pietro, che però invita il Terzo Polo a “uscire dall’ambiguità e a non tenere più il piede in due staffe”. Ma a stretto giro, Italo Bocchino fa sapere di non essere interessati “ad accordi partitici”.
“Fuori dai politicismi – ha detto Bersani – il messaggio del Pd era e sarà “andare oltre Berlusconi” per ricostruire questo paese con una convergenza tra forze progressiste e moderate. Questa è la nostra posizione, ci ha portato male? No, assolutamente no e continuerà ad essere questa”. Stesso discorso vale anche per il risultato di Bologna, nel pomeriggio a rischio ballottaggio, ma poi tutto rientra e Bologna “la rossa” non delude.

Certo, a Napoli il risultato brucia. Non sfonda il Pdl, che sperava di non complicarsi la vita al secondo turno. Il suo candidato, l’imprenditore Gianni Lettieri, si attesta tra il 40 e il 42%, la soglia minima che alla vigilia negli ambienti vicini al partito del premier veniva indicata come il traguardo da raggiungere per non avere brutte sorprese in caso di ballottaggio. Ma se il Pdl, che tra due settimane potrebbe scontare il mancato traino delle undici liste schierate al primo turno, deve rimboccarsi le maniche se vuole vincere, peggio sta il centrosinistra che registra il fallimento del Pd. Il distacco inflitto da de Magistris a Morcone è importante, soprattutto se si considera che il voto per le liste è esattamente ribaltato rispetto a quello per i candidati sindaci. Ma anche su questo fronte Bersani, almeno per oggi, ha potuto quasi glissare: comunque, ha sottolineato, il centrosinistra nel suo complesso prende più voti del centrodestra a Napoli. Comunque andrà a finire sarà la fine di un ciclo politico per la città partenopea che negli ultimi diciassette anni, prima con Bassolino dal ’93, e poi con la Iervolino dal 2000, ha avuto un sindaco espressione dei partiti oggi riuniti nel Pd.

Il Partito Democratico ha pagato il boomerang delle primarie contestate (“i politici dovrebbero avere il senno del prima”, commentava Massimo D’Alema pochi giorni fa intuendo che la frittata era fatta) e l’aver dovuto ripiegare in extremis su un candidato sconosciuto ai più, l’ex prefetto anti-racket Mario Morcone, che forse ha pagato anche il non aver saputo interpretare al meglio quella richiesta di discontinuità che veniva dalla sua stessa parte politica.
L’ex pm di Why Not, Luigi De Magistris, che a quelle primarie si era sottratto, alla fine ha avuto ragione e con una campagna aggressiva che ha messo insieme l’antiberlusconismo con una critica feroce della stagione del centrosinistra a Napoli, ha avuto gioco facile facendo presa soprattutto sull’elettorato più giovane. Le proiezioni lo accreditano di una stima prossima al 25%. A lui ora il compito di ricompattare il centrosinistra per far convergere su di sé i voti di un Pd che con De Magistris non è mai stato tenero. Tra il 9 e il 10% si colloca il candidato del terzo polo Raimondo Pasquino i cui voti potrebbero essere decisivi per la vittoria finale. Cosa farà il terzo polo verrà deciso in un incontro in programma mercoledì.

E alle provinciali? Gelato dal risultato elettorale delle grandi città e in particolare dalla débacle di Letizia Morati a Milano, il centrodestra spera di consolarsi, almeno parzialmente, con qualche risultato positivo nelle elezioni provinciali. Le province in ballo sono Vercelli, Pavia, Mantova, Treviso, Trieste, Gorizia, Ravenna, Lucca, Macerata, Campobasso, Reggio Calabria. I risultati dello spoglio sono ancora parziali ma iniziano a delineare alcune tendenze chiare: il centrodestra è in testa a Vercelli, Pavia, Treviso, Campobasso e Reggio Calabria e potrebbe andare al ballottaggio a Mantova, dove governava il centrosinistra. Rischia però di perdere Macerata, dove aveva vinto nel 2009 una elezione poi annullata su ricorso di una lista locale.
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