Una guerra obbligata?

Il governo italiano è passato in poco tempo dalla volontà di non disturbare il dittatore Gheddafi fino all’autorizzazione ai nostri aerei a bombardare le truppe del rais. Per molti, si tratta di un escalation inevitabile se non addirittura prevista. Non a caso infatti, anche il presidente della Repubblica Napolitano parla di “naturale sviluppo della missione italiana” e il Pd lo appoggia. Ma urge un nuovo passaggio nelle aule parlamentari: se le Aule approveranno la nuova missione con – come annunciato – il voto contrario della Lega, saremmo di fronte ad una diversa maggioranza che regge la politica estera

Una guerra puoi anche non farla, ma se la fai devi vincerla. E’ in base a questa considerazione che il governo italiano ha autorizzato i nostri aerei impegnati sulla Libia a colpire obiettivi mirati; in altre parole a sparare. Come già fanno Francia, Gran Bretagna, Canada, Norvegia, Danimarca, Belgio, oltre agli Usa che da alcuni giorni utilizzano i droni senza pilota. L’impegno militare dell’Italia sale dunque al primo livello nella coalizione: oltre ai 12 aerei impegnati finora – 4 Eurofighter Typhoon, 4 Tornado antiradar, 4 Harrier della Marina tutti utilizzati in missioni di sorveglianza – e agli F 16 di scorta, verranno probabilmente messi a disposizione della Nato i Tornado Ids da attacco, gli Amx e forse altri Harrier in funzione offensiva. A questi asset vanno aggiunte le cinque navi impegnate nel blocco navale, di cui abbiamo il comando con la portaerei Garibaldi, o ovviamente l’uso di una decina di basi nel nostro Paese. Infine, dalla scorsa settimana, l’Italia ha annunciato l’invio con Francia e Gran Bretagna di “osservatori militari” con compiti di addestramento, probabile preludio di un successivo impegno a terra, a raid conclusi, con compiti di aprire e vigilare i cosiddetti corridoi umanitari. Proprio come accadde in Serbia.

Per molti, si tratta di un escalation inevitabile se non addirittura prevista. Non a caso infatti, anche il presidente della Repubblica Napolitano parla di “naturale sviluppo della missione italiana” e il Pd lo appoggia. La decisione dell’intervento italiano in Libia è stata presa nell’ambito del mandato del consiglio di sicurezza Onu e con il voto delle commissioni parlamentari. Il governo italiano è passato in poco tempo dalla volontà di non disturbare il dittatore Gheddafi fino all’autorizzazione ai nostri aerei a bombardare le truppe del rais, con però l’esplicita e forte contrarietà espressa dalla Lega, che del governo rappresenta la seconda, fondamentale, gamba. Ed è per questo che diventa fondamentale un secondo passaggio parlamentare: se le Aule approveranno la nuova missione con – come annunciato – il voto contrario della Lega, saremmo di fronte ad una diversa maggioranza che regge la politica estera.

“Non possiamo lasciare soli i civili” è la motivazione preminente, offerta all’opinione pubblica, certamente non favorevole alle guerre. Una motivazione in parte vera, se non fosse che due sono le colpe più gravi attribuite al Rais Gheddafi: la strage di Lockerbie e la gestione violenta della giustizia in patria, con carcerazioni illegittime e torture. Entrambe le accuse attendono il dittatore al varco del Tribunale internazionale per i diritti dell’uomo.
Eppure l’occidente sta ora dando piena credibilità al leder dei ribelli che, difficile dimenticarlo, ricopriva il ruolo di ministro della giustizia e dunque qualche responsabilità sulle torture e le carcerazioni indiscriminate dei dissidenti le deve pur aver avute. Come non c’è scritto da nessuna parte che per difendere i civili libici occorra bombardare la caserma dove si rifugia il Rais. E’ la Realpolitik con le sue contraddizioni.
Più prosaicamente, se l’Italia ambisce ad un ruolo strategico nel mondo che sta per essere, non poteva tirarsi indietro o far la guerra a metà. Il futuro di questa immensa riserva di energia – gas e greggio (ma anche il progetto di Rubbia sul solare si basa sul deserto libico)- si decide proprio in questi giorni e in queste ore. E con essa, si decide il futuro di uno scacchiere, il Nord Africa, con la sua pressione demografica e la sua voglia di affacciarsi non solo alla democrazia, ma anche al mercato.

Tutto questo avviene mentre arriva a Roma Nicolas Sarkozy. Con il capo di Stato francese negli ultimi tempi i rapporti sono stati spesso difficili, sempre ondivaghi, prodotti dal suo protagonismo sulla Libia, dalla chiusura sui profughi tunisini, dall’arrembaggio economico e finanziario della Francia sui nostri settori strategici.
A quanto pare Sarko’ arriva a Roma con una buona notizia: l’appoggio francese alla candidatura di Mario Draghi alla presidenza della Bce. La strada è ancora lunga – c’è di mezzo la Germania – ma se l’operazione andasse in porto si tratterebbe di un successo in primo luogo di Draghi, ma anche del dell’intera politica economica del Paese, che dopo anni di latitanza dalle cariche comunitarie che contano, ci tornerebbe dalla porta principale.
Sempre in coincidenza del summit Berlusconi-Sarkozy la Lactalis ha lanciato un’Opa sulla Parmalat. Il governo aveva tentato di difenderne l’italianità, anche con l’impegno della Cassa depositi e prestiti. Ma ora sono i nostri industriali a dover rispondere secondo le regole e con gli strumenti di mercato: ad un’Opa va contrapposta solo una contro-opa. Ce la faranno? Se sì, questo avverrà senza l’appoggio del governo (altro motivo di frizione con la Lega Nord): va bene difendere il made in Italy, purché la cosa abbia un senso. E dal governo arriva un messaggio chiaro: l’energia, la nostra presenza industriale e strategica all’estero, l’uscita dell’Italia dalla crisi finanziaria dell’Europa sono priorità più rilevanti.

Dunque si tratta di una guerra obbligata? Nessuna guerra lo è mai. Sempre che si abbia una politica estera più lungimirante del “mettiamoci una pezza”. Non è stato il caso dell’Italia.  Fonte: http://www.paneacqua.eu/notizia.php?id=17590

 

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